(Foto Getty/Giro d’Italia 2020/Tim de Waele)

Vale la pena faticare? Riflessione sul ciclismo e sulla vita

carlofilippo vardelli
7 min readNov 28, 2020

“Quack, quack, quack”

Ultimamente mi sono appassionato al ciclismo. Dopo l’ennesimo infortunio al ginocchio è uno dei pochi sport che mi sono rimasti. La bici è la disciplina del pensiero, mi costringe a ragionare tutte le volte che pedalo. Quando ad agosto ero sullo Stelvio, ed avevo il mio amico Luca con me, dentro ad una galleria ho pensato di mollare. Mancavano più di 10km alla vetta ed ero a pezzi. Ma chi mi obbliga a morire in bicicletta per arrivare in cima ad una montagna e fare due foto? Ma qua siamo completamente matti. Ma non era meglio marcire in spiaggia?

Poi mi sono ripreso, è arrivato Luca dietro di me, ci siamo fatti forza a vicenda e siamo andati su. Tanto che poi Luca mi ha pure staccato, ma all’altezza dell’Umbrail vedevo la cima — e quando vedi la cima la motivazione raddoppia. Non appena ho raggiunto la vetta, e ho fatto la foto con la stele di Coppi, mi sono sentito completo. Veramente completo. Un orgoglio incredibile. Ero senza pensieri e felice. Non mi è capitato molto spesso nell’ultimo periodo. Avevo scalato una montagna soffrendo e divertendomi. Uno splendido ricordo.

L’altra sera invece ero a casa, e mentre girovagavo su Youtube ho visto che l’Education First Pro Cycling aveva appena pubblicato il recap del Giro d’Italia. Incuriosito, ho attaccato la visione.

Il filmino inizia con Lachlan Morton che parla delle divise della squadra pensate in collaborazione con Rapha e Palace. Sono state un autentico meteorite sul pianeta-biciclette. Nessuno si aspettava realmente questa roba qua. La sfilata al tempio di Segesta ha smosso diverse coscienze, soprattutto tra i NON appassionati.

Morton: “Fino a due anni fa la gente ci avrebbe riso dietro se ci fossimo presentati con questo kit. Oggi stanno iniziando a capire. Stanno notando il ciclismo grazie a questo. E questo è fondamentale”.

Poco dopo appare Craddock, un altro ciclista della EF. Lo statunitense è nel bel mezzo di uno shooting fotografico e sorride come se fosse al matrimonio. E’ perfettamente a suo agio con la nuova divisa ed è bello vederlo così contento. Fa parte di una squadra spensierata ed il clima è fantastico, ma non per tutti.

Di fianco a lui ci sono i Deceuninck-Quick Step, una squadra molto forte e molto ricca. Due ciclisti che non riconosco, colpiti in negativo da quello che vedono davanti ai loro occhi, lanciano un’occhiataccia verso i rivali. Un’occhiata feroce, tipo quella di LeBron James in Gara6 contro Boston. La telecamera indugia su di loro per quattro secondi e senza parlare sottolinea la differenza di stile e su come viene intesa la vita nelle due squadre. In quel preciso istante decido di scrivere questa cosa che state leggendo.

Can you see the difference? Cause, i’m not

Molto spesso, con alcuni amici di Twitter, si è parlato di come potrebbe cambiare il ciclismo. Punto di vista comunicativo, modo di porsi, tv, social, allargare il bacino di utenti. Io credo fermamente che nell’epoca del tutto rendersi diversi* sia un merito. E con diversi non intendo osceni, ma pensati e ragionati. Se l’EF fa le maglie con Palace forse qualcosa sta cambiando. Ovviamente per farlo serve gente preparata, ma il cambiamento c’è. Ed è davanti ai nostri occhi.

*[Con rendersi diversi intendo provare a fare qualcosa di mai fatto, qualcosa di impattante. Ad esempio: lo spot della Rai con Vincenzo Nibali è stato molto emozionante, ma non impattante. Non è stato niente di diverso da tante cose che abbiamo già visto. Quel video, ahimè, non allarga il bacino di pubblico. Io ho pianto vedendolo, ma un 17enne non piange.]

Tornando a cannone sul documentario, eccoci con Matti Breschel. Il danese è uno dei DS della squadra, ma è davanti alla videocamera per parlarci di qualcos’altro. Dice apertamente che il ciclismo vive nel passato. I direttori sportivi ti minacciano con frasi come “no tattoo, no piercing, no barba”. Tutti ragionano come se fossimo sotto l’austerity del cambiamento, e il ciclismo ne risente in negativo.

Quanto sarebbe figo un mondo che ti obbliga a renderti diverso anche a costo di sbagliare? Una specie di prova di sopravvivenza ai trend. O per cambiare i trend. La squadra americana, per esempio, ha fondato il suo credo ciclistico sul rendersi diversa. Porta cose nuove, fresche e totalmente difformi rispetto all’ordinario.

Provateci anche voi nella vita di tutti i giorni a rendervi diversi da come vi impone il tempo. Provate a distinguervi rimanendo in linea con la vostra normalità. Sciolti. Non c’è buono o cattivo, ma solo sentirsi migliori.

Fabri Fibra diceva che i ragazzini non dovevano fare rap per fare i soldi, ma solo per diventare persone migliori. Ecco, provate ad essere migliori. Quante volte vi sentite bene con voi stessi? Io tutte le volte che provo a copiare poi mi pento. Sarebbe servito così poco a rendersi unici, mi dico. A volte rendersi diversi costa fatica (l’uniforme è molto più comoda dell’esperimento) ma qualcuno vi sceglierà, nell’uniformità, proprio perché diversi.

Mentre passano i minuti del video, Lachlan Morton prende il centro del palco. L’australiano, appena tornato da una simil race-in-the-desert, apre il capitolo personale. Racconta sé stesso, non credendo di essere granché. “Qualcuno si è chiesto perché la squadra abbia deciso di portarmi al Giro. Ad essere onesti cerco di non pensarci. Per alcuni so di essere uno scherzo, ma va bene così”.

Lachlan è un uomo molto diverso rispetto ai colleghi. Prova a trovare la felicità nella fatica. (Proprio l’altro giorno Peter Sagan ha detto di non augurare al figlio la stessa fatica fatta da lui in bici). Dentro la persona di Morton, di cui dovremmo parlare per ore anche per via della sua Kokopelli Trail Race in cui ha segnato il nuovo record del mondo (lo lascio qua), c’è tutta la ricerca di una motivazione nella vita.

Ha senso farlo? Perché oggi dovrebbe essere diverso da ieri? Un mindset negativo rimarrà negativo per sempre. La positività invece è contagiosa. Breschel ha detto che Morton è in squadra SOPRATTUTTO per la sua positività. La stessa che ti fa scalare lo Stelvio quando dopo 8km sei finito. E senz’acqua. La stessa che ti smuove anche quando sei nella merda. E quando vedi i risultati poi sei contento il doppio. E piangi. Piangi di gioia perché quella fatica ha pagato.

“Almost in tears”, fateci caso quando vi capita

Lawson Craddock si è appena ritirato dal Giro d’Italia. Ha mollato la sua squadra, che definisce “really special”, perché gli sta per nascere un bambino. Rimanere in Italia voleva dire perdere quel momento: ne sarebbe valsa la pena? “The birth of his child”, dice Lachlan, “which obviously comes before bike racing”, racchiude un altro pensiero che mi corre in testa molto spesso.

A cosa sarei disposto a rinunciare pur di raggiungere il sogno della mia vita? A tutto, dico spesso. E poi cosa mi rimarrebbe? Niente, suppongo. Cosa scelgo? Una cosa che non mi piace con la gente che mi piace o una cosa fantastica con la gente che non mi piace? Io, tutt’ora, non saprei scegliere.

Breschel dice che “without the team, Guerreiro wouldn’t have won the jersey”, riferendosi alla maglia scalatori che il portoghese ha vinto davanti a Giovanni Visconti. Una bicicletta e tanti amici. Non siamo mai realmente da soli.

Riguardando i messaggi del giorno in cui ho scalato lo Stelvio mi sono reso conto che ho scritto alla mia fidanzata praticamente ogni ora. E’ come se avesse fatto la scalata con me. Rinunciare a quei messaggi mi avrebbe aiutato a salire più velocemente? No, probabilmente mi avrebbe fatto sentire ancora più solo.

Quindi, cosa rimane di tutto ciò? L’ultimo insegnamento di Lachlan. Nell’incertezza che sta correndo nel mondo oggigiorno, lui afferma con sicurezza che troverà sempre un modo per fare qualcosa di divertente in sella alla sua bici.

Ecco, io dovrei fare lo stesso. Trovare un modo per fare qualcosa di divertente con le mie passioni. Tipo scrivere questo pezzo alle 00:53 quando domattina alle 9:00 devo essere operativo per lavorare. E magari goderne mentre lo faccio. Non è propriamente il massimo sotto certi punti di vista, però queste “fatiche” rappresentano alcune delle gioie della mia vita. E come tali vanno vissute.

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