“Pippao colpevole”: per chi l’ha visto e per chi non c’era

carlofilippo vardelli
4 min readSep 28, 2022

Scuola elementare Boselli-Bonini di Vigolo Marchese, il solito angolo, la solita gente.

Prima di entrare in classe ci radunavamo sempre nel solito angolo, alla destra dell’ingresso, eravamo più o meno una decina. Si parlava del più e del meno, di quello che avevamo guardato la sera prima in televisione, di calcio. Ogni tanto ci scambiavamo le figurine, oppure aspettavamo qualcosa di straordinario.

Quella mattina, totalmente fuori contesto, in mezzo al cerchio che eravamo soliti fare per guardarci in faccia trovammo una bomboletta spray. Nessuno di noi sapeva bene come maneggiarla — a 8 anni le bombolette spray per graffitari non sono proprio il tuo pane quotidiano — però ci incuriosimmo. Ad un certo punto, per spezzare lo stallo messicano degli avvoltoi intorno alla preda, decisi di prenderla in mano e scrissi “ciao” sul pavimento. Bomboletta blu su ciottolato nero: praticamente non si vedeva nulla.

Un amico — che oggi ho completamente perso di vista e di cui non farò il nome perché non sono un infame — , mezzo provocato dal mio gesto, decise di fare la storia. Ma la storia vera, quella che ancora oggi vale la pena raccontare. Armò il suo mancino da artista e dipinse la parete destra delle elementari Boselli-Bonini di Vigolo Marchese con la scritta “Pippao colpevole”.

(Disclaimer: nessuno mi ha mai chiamato “Pippao”, però evidentemente questo amico aveva la saudade do Brasil e decise di appiopparmi quei soprannomi che vengono dati ai giocatori brasiliani.)

Sbam! Parete marchiata, il mio (nuovo) soprannome sulla facciata della scuola e tanti saluti alla reputazione da bravo ragazzo. Ricordo perfettamente la nostra paralisi durante il fattaccio: nessuno parlò, nessuno provò a fermarlo. Osservammo allibiti e pochi minuti dopo entrammo in classe.

La paura

La scuola elementare Boselli-Bonini di Vigolo Marchese è una scuola di paese. Anzi, di frazione. Ci sono pochissime classi e pochissimi bambini. Probabilmente, se fosse stata una scuola di città, ci sarebbe stato qualcuno a fermare la vena creativa del mio amico, ma in una scuola di paese c’è pochissimo controllo. Allo stesso tempo, quando succede una cosa del genere lo vengono a sapere tutti. Ma tutti, tutti, tutti.

E infatti, verso le 10:30, dopo le prime due ore di lezione, la storia iniziò a circolare e la trottola impazzita portava con sé due autentiche croci: una probabile “nota sul registro” e una possibile “sospensione”. Prendere una nota sul registro quando hai otto anni è come auto-infliggersi una pena capitale fino all’ultimo giorno della quinta. In più, le note sul registro — e di conseguenza le sospensioni — alla scuola elementare Boselli-Bonini non erano proprio all’ordine del giorno, per cui rimasi mezzo traumatizzato (e non era ancora niente).

Poco dopo, verso l’ora di pranzo, la paura divenne terrore. Già durante il tragitto dalla scuola alla mensa, lungo ben 20 metri, gli occhi dell’inquisizione mi giravano intorno. (Si andava a mangiare mano nella mano, in fila indiana, e il mio nome faceva l’eco: “Vardelli”, “Pippo”, “Carlofilippo”. Mi sentivo in gabbia, come Harrison Ford nel “Fuggitivo”). Poi, una volta seduti a tavola, il money-shot (se non sapete cos’è, non andate a cercare).

L’ingresso della mensa, che coincide anche con quello della scuola materna

Alle mie spalle apparve una persona che faccio estremamente fatica a ricordare e mi disse: “quando rientriamo in classe devi parlare con le maestre”. Panico, Paura! Il colloquio con le maestre, e in particolare con una maestra tra le più cattive di sempre che non sorrideva mai, era il boss finale. Era lo scontro decisivo. Possibilità di uscirne vivo: zero. Possibilità di nota sul registro: altissime. Rimasi tutto il resto del pranzo in silenzio: paralizzato, immobilizzato. Mentre qualche tavolo più in là l’amico artista rideva come se niente fosse. Io una statua di sale; lui baldoria di Capodanno. L’avrei ammazzato.

Tornati in classe, io e l’amico artista — che non ricordo come ma uscì allo scoperto— affrontammo il nostro destino. Avevo addosso una tensione pazzesca, ma fortunatamente tutto andò secondo giustizia, con lo Chagall di Castell’Arquato a confessare la sua colpevolezza e io nel ruolo della vittima sacrificale. Le maestre ci rispedirono in classe con delle frasi che all’epoca ricordo spaventosissime, ma che in sostanza non intaccarono la mia fedina penale scolastica. Nei secoli rimase un “la faremo cancellare” che, come tutte le frasi lanciate nell’etere, poi si perdono e finiscono nel dimenticatoio.

Chiusura

Oggi, quando passo davanti a quella scritta e ricordo quei momenti, oltre ad un po’ di nostalgia, mi viene in mente una frase di mio padre: “vedrai che questa scritta diventerà un vanto, perché la gente chiederà di te”.

Ora, non so se qualcuno abbia mai chiesto di me durante questi anni, ma questa è la storia di come andò quella mattinata incredibile. Tutta la verità e nient’altro che la verità, come prima del matrimonio.

--

--