Andare oltre, o di come ho fatto Vigolo Marchese-Firenze in bicicletta tutto da solo

carlofilippo vardelli
12 min readNov 8, 2021

“Si, ero preoccupata. Pensavo potessi stare male”

Nella riflessione pubblicata qua, avevo ampiamente spiegato come il Team Education-First e Lachlan Morton fossero tra le mie cose preferite al mondo.

Circa 10 mesi dopo quel pezzo, lo stesso Morton ha deciso di andare oltre al semplice amore. Tutto da solo, nel mese di luglio, ha pedalato per oltre 5000km e 65mila metri di dislivello (il percorso del Tour de France 2021) per aiutare World Bicycle Relief a donare biciclette nei paesi in via di sviluppo. La campagna, organizzata da Rapha, Education-First e Nippo, ha raccolto oltre 500mila sterline — e la gente sta ancora donando (link utile: https://give.worldbicyclerelief.org/campaign/ef-rapha-for-wbr/c329966).

Quando l’ho visto che pedalava sulle strade francesi senza alcun aiuto, dormendo in tenda, mangiando cibo scaldato con il fornelletto da campeggio, fermandosi a prendere panini e brioches nelle Boulangerie, con le birkenstock (dopo qualche giorno le scarpette gli hanno provocato delle vesciche), sfatto e aperto in due dalla fatica, mi è scattato qualcosa. Come sorta di senso del dovere verso lo sport che mi ha saputo ospitare due anni fa.

Il reportage sull’Alt Tour

Per cui, spinto da questa forza interiore, ho deciso di fissare la mia meta a 252km e oltre 1800 metri di dislivello da casa: Firenze. Un viaggio d’andata (in bici) e ritorno (in treno).

Preparazione e paure, ma soprattutto paure

La preparazione è stata molto banale, limitata e remissiva. Nelle due settimane pre-viaggio, anche per via dell’Olimpiade di Tokyo seguita per Eurosport, del covid che ha bloccato la mia famiglia per oltre dieci giorni e della paura di bruciare energie, non ho fatto un singolo metro in bici. Ero a 2300km stagionali e quelli sono rimasti. Non me lo so spiegare, ma ho pensato che se avessi risparmiato fatica alle mie gambe forse sarebbe stato più facile. Ho fatto un salto da Decathlon per comprare barrette, gel, zainetto, marsupio e lucine; ho sistemato la bici; ho caricato il Bryton; ho portato con me tutto l’occorrente; ho pianificato l’itinerario e ho pregato che il dio delle due ruote mi desse il coraggio necessario per non schiantarmi.

Adesso lo posso confessare: quando è suonata la sveglia alle 5:00 di mattina e sono uscito con il mio kway fosforescente, volevo mollare. C’era quel freddo insipido tipico delle mattinate in campeggio. Quello che ti entra nelle ossa senza chiedere il permesso. Perché dovevo farlo? Non so voi, ma quando voglio qualcosa agisco in maniera molto semplice. Confesso l’idea a quante più persone conosco così da obbligare me stesso a portarla a termine. In più, la sera prima della grand départ avevo creato un gruppo WhatsApp dal nome “Vigolo-Firenze news” per aggiornare la mia famiglia: rifiutare sarebbe stato da codardi. Così, alle 05:47, come recita il mio profilo Strava, ho fissato le tacchette ai pedali e ho iniziato a pedalare.

3,2,1… via!

Per buona parte delle prime due ore, almeno fino a Parma, sentimenti come sfiducia, pessimismo e la paura di non arrivare hanno albergato nella mia testa come i peggiori incubi. Mi ripetevo di pedalare piano, di bere e di mangiare, però mi sentivo sempre e costantemente in ritardo sulla tabella di marcia. A Fiorenzuola — 15km dalla partenza — ho fin evitato di rivolgere la parola ad un “collega” di bike packing talmente ero alienato dagli orari. Poco prima avevo anche perso una ciabatta, ma fortunatamente un’automobilista con due colpi di clacson mi ha avvertito (lo spazio nello zaino era poco, per cui dovevo scegliere tra scarpe o ciabatte: ho scelto le ciabatte).

Dopo una sosta fisiologica nel parmense, sono arrivato a Reggio Emilia. Attraversando il centro e trovando nelle pedalate dei signori più anziani che escono per prendere il giornale dei formidabili compagni di squadra, mi sono calmato. La piazza — che avevo già visitato nel 2017 e che porta con sé un’altra avventura troppo lunga da raccontare — e la ciclabile — che accompagna tutta la città da cartello-a-cartello — sono state due belle scialuppe di salvataggio.

Piazza della Vittoria, Reggio Emilia

Modena, invece, non me la sono goduta per niente. Nonostante una main road bellissima a livello di pulizia della strada, la mia testa ragionava solo in direzione Bologna. E quindi, dopo una sosta di cinque minuti in piazza per ingurgitare l’ennesimo gellino di giornata e accendere le cuffiette (che ho rischiato di perdere quando ho fatto la sosta fisiologica), mi sono rimesso in marcia.

Nei 40km che separano Modena da Bologna, ho fatto una cosa molto da sgavdio (che poi sarei io). Facendomi prendere dal ritmo della musica, ho alzato e abbassato la cadenza della pedalata in base ai BPM. Credo succeda a molti: quando parte la canzone giusta le energie raddoppiano. Una cosa prettamente mentale.

Nel mentre, avevo già percorso più di 100km, attraversato qualche scorcio di qualità (Castelfranco Emilia ve la consiglio) e iniziato ad annusare il santuario di San Luca. Ad una mezz’ora da Bologna, sull’ennesima ciclabile che costeggia la Via Emilia, ho portato a casa anche il primo rifornimento d’acqua. La fontanella era troppo invitante e le mie borracce stavano raschiando il fondo.

Finalmente Bologna

Senza ulteriori intoppi, qualche canzone più in là, verso le 12:40, sono arrivato trionfante in Piazza Maggiore a Bologna. Sotto gli striscioni dedicati a Giulio Regeni e Patrick Zaki stavano allestendo una sorta di cinema all’aperto.

Mi sono fermato in un bar con l’intento di rilassare i muscoli, ricalcolare il nuovo itinerario e mangiare qualcosina. Chisolini e salume mi chiamavano come le sirene con Ulisse, ma la mia forza di volontà ha dominato la scena: una coppetta di gelato alla fragola, un’acqua e una coca zero per un totale di 8 euro che difficilmente dimenticherò.

Una mia storia Instagram

Arrivando dentro “Bolo” per vie traverse, mi sono accorto di quanto possono essere dispersive le città. Io ho sempre vissuto nella provincia della provincia, per cui fare i movimenti più elementari mi è sempre risultato abbastanza facile, mentre nei grandi centri vivono tantissime sottocittà completamente inesplorate. Sono vive, si muovono ogni giorno, ma spesso e volentieri non vengono esplorate. Mi viene davvero strano pensare che c’è gente che vive in città ma si deve fare 30 minuti sui mezzi pubblici per raggiungere il centro: una vita del genere non riesco proprio a concepirla.

Una cosa che invece ero riuscito a concepire— e che mi preoccupava da morire — era la strada che mi mancava per arrivare a Firenze: 107km con 1680 metri di dislivello. A spanne, altre sei ore di bici.

Dopo il gelato ho impacchettato tutti i miei averi, mi sono infilato dentro i “Giardini Margherita” per fare il rifornimento dell’acqua e ho rimesso in piedi il viaggio. Nell’idea originale volevo fare anche il San Luca, ma a due passi dal Santuario ho preferito evitare. Tornerò, prima o poi.

Bologna, 9 agosto 2021

Firenze, arrivo (forse)

Che fosse il mio primo bike packing — e la prima avventura su due ruote — lo potete capire da una cosa molto semplice. Invece di sciropparmi il dislivello alla mattina, quando si hanno più energie, c’è più fresco e gli orari ti aiutano, me lo sono tenuto per il pomeriggio, quando le batterie iniziano a perdere colpi, il caldo ti fa scoppiare il cuore e la crono-tabella diventa un nemico troppo cattivo da battere.

Pronti, via e una bella rampa oltre il 10%, circa 10km dopo Bologna, mi ha subito dato il benvenuto. C’era caldo, caldo vero. Mi son detto: 100km così sono infattibili. Ricordate il cattivo presagio del mattino? Quello degli orari da rispettare? Ero in crisi e non avevo forze. Ma com’era possibile? Raggiunto un paesino in mezzo al nulla, ho cercato di far mente locale. Ho scritto sul gruppo “Vigolo-Firenze news” cercando di tranquillizzare l’ambiente, ma in realtà volevo tranquillizzare me stesso. Sembravo come dal terapeuta, ma in realtà parlavo da solo.

Una volta chiusa la sessione di self-help, ho deciso di buttar giù tutti i rapporti e pedalare solo per il gusto di farlo. Non c’erano orari, non c’era fretta e non c’era nessuno che mi aspettava. Ero da solo, e proprio per questo dovevo godermela. Arrivato a Loiano — 30km da Bologna (170 totali) — la mia fidanzata mi ha intimato di pensare alla notte. (Non avevo prenotato niente per evitare di avere obblighi e scadenze. Non sapevo né quando né come sarei arrivato a Firenze, per cui ho preferito non impormi nulla).

Con molta più fatica del previsto e dopo 5 porte sbattute in faccia al grido di: “ci dispiace, non c’è posto”, mi sono iscritto su Airbnb e ho salvato la mia nottata (questa icona tenetela aperta).

Loiano, ma quando sono passato la piazza era vuota

Il momento più duro

Il post Loiano è andato via abbastanza agile: pendenze morbide e tratti pedalabili. Arrivato al Passo della Raticosa, mi sono sciolto in un sorriso. C’erano un sacco di persone, un sacco di moto. Non sapevo che fosse una specie di “Mecca” per i motociclisti. C’era anche tanto vento. Ne ho approfittato per coprirmi con il kway giallo fosforescente che avevo alla mattina.

La situazione era più o meno questa

Mi piace vedere le persone quando pedalo. Penso sempre di poterli ispirare in qualche modo. Di riuscire a trasferire anche solo un grammo della fatica che sto facendo e magari spingerli a fare due pedalate almeno una volta nella vita. E poi è bello avere “il pubblico” mentre si va in bici. Per quanto possa essere introspettivo come sport, ciò che le rende speciale è la connessione con l’ambiente.

Scavallato il Raticosa, pensavo d’aver finito. Avevo anche fotografato il cartello del cambio regione: dalla provincia di Bologna entravo in quella di Firenze. Pensavo che la strada mi avrebbe riservato un trattamento di favore: che ingenuo. Se c’è una cosa che ho imparato da questo viaggio, è che Firenze non arriva mai. Firenze non la vedi mai. Le montagne che la proteggono dall’Emilia-Romagna sono montagne vere. Gli appennini sono montagne vere. Bello scoprirlo a 26 anni.

Cambio di provincia

Quindi, poco dopo il Raticosa, mi aspettava il Passo della Futa. Lo ammetto: iniziavo ad essere stanco. Ci sono state un paio di occasioni in cui ho urlato: “ma c’è ancora salita?!”. Pedalavo, scendevo dalla bici, facevo due passi, rimontavo, ri-pedalavo, ri-scendevo e così via fino alla vetta del Passo. Firenze -45km: adesso è veramente finita, pensavo euforico. Talmente euforico che giù dalla discesa di Barberino, ai -34km (si, me lo ricordo precisamente), ho mandato un messaggio gruppo “Vigolo-Firenze news” ricolmo di fiducia: “tranquilli, mezz’ora e sono a Firenze”.

Ora, non so che famigliarità abbiate con il ciclismo, ma 34km in mezz’ora non li fa nemmeno Pippo Ganna (campione del mondo a cronometro) lanciato con una moltiplica 58x11. Ero fuso, ma quella sicurezza era corroborata dai fatti: avevo visto la città! Palazzo Vecchio, il cupolone, la torre di Giotto. Era lei.

Niente, finisce la discesa e il GPS mi manda nella direzione opposta rispetto a Firenze. Booooh. Pedalo e non mi passa più. In qualche modo — giuro non so come — arrivo ai meno 20km.

Venti chilometri non sono tanti. Anzi, dopo averne fatti 230 sono pochissimi, però sono in crisi. Sono vuoto e la mia testa inizia a giocarmi dei brutti scherzi. Voglio mollare, non ce la faccio più. All’orizzonte vedo l’ennesima montagnola da scalare, di fianco a me sfrecciano le macchine, fa freddo, mi viene da piangere. Il pensiero “adesso entro in casa di qualcuno e mi faccio accompagnare a Firenze” è molto più di una semplice idea.

Passo della Futa, 9 agosto 2021

Lei

A piedi, mangiando l’ennesima barretta, faccio anche l’ultima salitina. Intorno a me c’è buio. Ho ancora indosso gli occhiali da sole. Non vedo niente. Mi faccio luce con le torce della bici, una davanti e una dietro. Spero che rimanga solo della discesa perché di pedalare non ne ho più voglia. Scendo, supero le ultime contropendenze e mi ritrovo sopra la città. Esattamente sopra. Ok, adesso è finita. Firenze è tutta illuminata ed è bellissima. Urlo dalla gioia. Vorrei anche piangere (questa volta dalla felicità), ma sono troppo stanco per farlo.

Plano a tutta velocità con la voglia matta di arrivare in centro. Mi serve la Piazza: è lì che ho fissato il traguardo. Per raggiungerla, però, ne combino di tutti i colori. Passo con la bici sulle rotaie dei tram, prendo vie contromano, sottopassi, insulti dagli automobilisti, ma dopo altri dieci minuti di patimento arrivo in Piazza del Duomo. È finita. Sono morto. È da oltre un’ora che il gruppo “Vigolo-Firenze news” non sa niente di me. Mando un audio. Li tranquillizzo. Mi chiama mio papà. È orgoglioso di me. Tanto mi basta.

Firenze, la sera del 9 agosto 2021

Fatica 2.0

Avete tenuto aperta l’icona dell’Airbnb? Mio papà, dopo i complimenti, vuole sapere dove dormo. Gli rispondo che ho preso una stanza tramite Airbnb. Mi intima a cercarla, perché sono le 9.40 e dopo le 10 c’è il rischio di rimanere fuori. Torno in sella per raggiungere questa casa, ma dopo 200 metri mi cade la catena. Come in un perfetto rapporto di simbiosi, anche la bici, come il mio fisico, non ne può più. Tiro su tutto, mi lercio le mani e volo verso questa casetta.

Dove nasce il problema? Quando prenoti tramite Airbnb, il proprietario di casa dev’essere d’accordo con il tuo desiderio di dormire in casa sua. Molto semplice: “vuoi dormire qua? Certo, ma prima passi la selezione”. Ecco, io quell’ok non l’ho mai ricevuto, e mentre cerco insistentemente questa casa poco lontano dal centro mi rendo conto che quella paura di dormire in strada sta diventando realtà. Suono campanelli, chiedo alla gente, mi muovo come un disperato. Niente. La casa non c’è. O meglio, c’è, ma non la trovo (Airbnb non mi ha dato nemmeno l’indirizzo, solo la zona di riferimento).

Sono sfiancato: posso meritare un epilogo così? No! Faccio marcia indietro verso il centro, mi fermo al primo hotel e prego che ci sia una stanza. C’è. Costa tantino ma c’è. Chiedo se mi possono tenere la bici: accettano. Vogliono sapere da dove vengo. Da troppo lontano, rispondo. Vorrei essere più dettagliato, ma non ho la forza. Mollo la mia compagna d’avventura di fianco alla reception e lascio il documento. La ragazza di turno, vedendomi impegnato a slegare il mio bagaglio — lo zaino attaccato sotto la sella — , si lascia andare un commento che definirei tipicamente femminile: “io quando viaggio ho bisogno almeno tre valigie”.

Firenze, 10 agosto 2021

Fine. Volver.

Dopo il check-in salgo con l’ascensore e percorro tutto il corridoio con le scarpe da bici sotto un’aria condizionata da paura. Non so come il mio intestino abbia retto a quelle folate. Entro in camera e mi lancio sotto la doccia: sono almeno tre ore che la desidero. Lavato e profumato, mi stendo sul letto per capire se il mio intestino ha bisogno di altro carburante. Non sarebbe male mangiare qualcosa, penso, ma subito dopo, oltre ai crampi che stanno salendo dalle dita dei piedi, sento lo stomaco che si ribella. Devo vomitare.

Annullo la cena e cerco di addormentarmi, ma prendo sonno solo alle 11:30. I crampi mi stanno massacrando, ne sento uno fortissimo alla gamba sinistra. Non mi dà pace. Alle 5:30 sono già sveglio. Non riesco a riprendere sonno. Faccio stretching. Alzo i piedi contro il muro.

Quando mi vengono i crampi penso a mio papà. Quando giocavo a calcio diceva sempre: “non corri, non li avrai mai i crampi”.

Intorno alle 10:00 scendo per fare colazione con questo outfit: ciabatte, calze, pantaloncini e maglietta. D’altronde, ve l’avevo detto: o le ciabatte o le scarpe. Mangio, pago e riparto. Decido di regalarmi un’ultima passeggiata in città: sono un po’ come Ronaldo che scende la scaletta dell’aereo e quasi cade, ma sono felice. Verso le 12.30 mangio un panino dell’Antico Vinaio, mi dirigo in stazione e riparto con il treno.

La Piazza del calcio storico fiorentino in costume (statua di Dante sulla sinistra)

Nel vagone che mi porta a Faenza vedo altri ragazzi che stanno viaggiando con la bici. Nessuno dice niente, ma ci sorridiamo come se fossimo amici da una vita. Quando scendo a Fiorenzuola c’è mia mamma che mi attende. Ha un sorriso che le va da orecchio ad orecchio. È contenta di vedermi sano e salvo. Arrivo a casa, ripongo la bici e dico al mio corpo che è finita qua. È stato bello.

Una piccola riflessione

Mai come in questo viaggio ho provato sensazione contrastanti. Nessuno mi ha chiesto dove stessi andando, nessuno mi ha chiesto niente (tranne la receptionist). Però mi sono sentito un uomo completo. In alcuni istanti nella mia testa è passato di tutto, mentre in altre occasioni non è passato niente. Il viaggio mi ha distrutto e consacrato. Sono andato a prendermi qualcosa. Lo consiglio a tutti. È gratificante.

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